Nacque il giorno 1-1-1922 a Cuccurano, una frazione di Fano (PU) situata lungo la vecchia consolare Flaminia,sotto le colline di Montegiove e di Ferreto e sotto quel “Mont de Pasqualon” dal quale sognava di saltare con gli sci a mo’ di trampolino, qualora ci fosse stata una straordinaria nevicata!
La madre Maria, il padre Giuseppe, un fratello maggiore Archelao e Santino, di qualche anno più piccolo, costituivano la sua famiglia di origine.
La sua casa in cui si trovavano l’alimentari e l’osteria del paese, era un punto di incontro per i compaesani e per gli abitanti dei paesi limitrofi, per i quali Virginio divenne ben presto un elemento trainante grazie al suo spirito di avventura, alla sua fantasia, al gusto della novità e alla capacità di vivere ogni situazione con la semplicità di chi può permettersi di affrontare tranquillamente ogni evento della vita, anche rischioso. Amante della compagnia,era circondato da amici che da lui trevano lo spunto per movimentare le giornate in questo paesino costruito a pochi chilometri dal mare.
Virginio rappresentava dunque un punto fermo in cui trovare amicizia, simpatia,ma capace anche di suscitare timore e soggezione; infatti oltre al calcio, al ciclismo, al pattinaggio, alla caccia…praticava con profitto pure il pugilato e non disdegnava all’occorrenza menare le mani, se costrettoci, fedele alla sua filosofia del “ vivi e lascia vivere”.
Fin da piccolo mostrò di amare molto anche i momenti di solitudine a stretto contatto con la natura per conoscerla a fondo; divenne infatti capace di riconoscere tanti tipi di uccelli,il loro volo, i loro canti, i loro nidi..Conobbe i luoghi più impervi dei nostri monti (Catria, Nerone, Petrano) e imparò a cavarsela da solo studiando e istruendo i vari cani da caccia che si avvicendarono nel tempo.
Frequentò la scuola d’Arte “ A. Apolloni” di Fano dove confermò la sua vivacità, la sua intelligenza e la sua generosità. Diplomatosi maestro d’arte con Emilio Lazzaro e Fabio Tombari docenti ( con quest’ultimo continuò un rapporto di scambi e amicizia) avrebbe dovuto iscriversi all’Accademia di Belle Arti a Firenze quando accade un episodio che a mio padre piaceva raccontare.
Appena finito l’ultimo anno di scuola, capitò nel bar della sua famiglia un uomo che chiedeva l’elemosina; sua madre chiese a costui perché si era ridotto a fare il mendicante e l’uomo rispose :” Vede signora,tutti i pittori fanno questa fine!” Queste parole furono sufficienti a far sì che la madre, che sapeva che Virginio voleva continuare gli studi per diventare pittore, cambiasse idea mandandolo a lavorare nella cooperativa edile del marito. Ma il lavoro d’ufficio non era per lui e infatti con la guerra alle porte partì volontario nei paracadutisti della Folgore. Dapprima a Tarquinia,poi a Firenze e infine a Bari pronto a trasvolare in Africa. Il destino volle che in uno degli ultimi lanci di preparazione si fratturò una caviglia e questo incidente lo rispedì a casa, con rammarico suo ma non certo di noi figli che ancora dovevamo nascere; sappiamo infatti quale destino attese i paracadutisti della Folgore a El Alamein! Finita al guerra, tra le macerie bisognava ricostruire. La cooperativa edile di cui faceva parte insieme con il padre e i fratelli lavorava molto, ma, come già detto, il lavoro sedentario non gli piaceva e così in cambio di un disegno-progetto che aveva realizzato per la costruzione della fornace del paese si fece dare dei mattoni di scarto con i quali costruì il primo cinema della zona.
Questa attività rappresentava una grossa novità e , visto il successo, dopo poco tempo costruì un cinema più grande attaccato alla casa d’origine la quale ancor più divenne il centro di aggregazione per i paesani, in quanto qui si trovava l’alimentari, il bar, la sala biliardo, il cinema..che oltretutto veniva inoltre utilizzato come sala da ballo nei periodi allora consentiti per tale attività (Carnevale, San Silvestro e l’Epifania). La gente affluiva da varie parti e la famiglia Ridolfi ( divenuta nel frattempo più numerosa per i matrimoni di mio padre e dei suoi due fratelli), portava avanti tutte queste attività.
Non pago di ciò, insieme con l’amico Leo, gestore dello storico albergo “Il Furlo”, mio padre aprì un ristorante a “Villa Paradiso” nella panoramica di Pesaro e questo ristorante divenne uno dei più frequentati della costa. Ma come era tipico del suo carattere, quando raggiungeva risultati di successo cambiava tutto per ricominciare e così fece anche nel 1954 quando si trasferì con mia madre e me (che avevo allora quattro anni), a Fossombrone dove aprì la prima lavanderia a secco. A fine settimana ritornavamo a Cuccurano per aiutare i famigliari di origine nella loro attività: mio padre si occupava del cinema ( le rappresentazioni erano solo domenicali) e delle feste da ballo e la domenica sera tornavamo nuovamente a Fossombrone per riprendere la normale vita settimanale fino al sabato successivo.
Fossombrone è una ridente cittadina già allora dotata di ospedale,cinema,bar,negozi….e soprattutto con gente cordiale e gioviale. La lavanderia di Virginio,”re dei cacciatori” situata nel centro del corso Garibaldi da dove parte il”Taglio”, divenne ben presto il luogo di riunione di tanti nuovi amici che si trovavano a fine giornata per raccontare le proprie avventure di caccia, con le risate e gli sfottò tipici di un periodo di fiducia nel presente e nell’avvenire.Tutte le sere era come un rito per tanti, prima di tornare a casa, passare in lavanderia per salutare mio padre e mia madre, per sentire le novità, per raccontare i propri fatti della giornata, per fare programmi di caccia…
Dopo cena i bar del corso dei fratelli Roberto e Mauro divenivano i sostituti naturali della lavanderia per continuare ed approfondire gli argomenti già trattati, magari in fretta, prima di cena. Mio padre si dedicava alla lavanderia aiutando mia madre, ma ciò che lo interessava di più era la libertà che provava quando andava a caccia e addestrava i suoi cani. Proprio questo divenne un nuovo campo in cui cimentarsi.
Iniziarono anni di duro impegno e di grandi soddisfazioni; allenava per le gare di caccia classica i bracchi italiani di “Sor Rico”(Adanti Enrico): la Bimba,Bimbo, la Cia e soprattutto Lor dei Ronchi, un campione come pochi in campo cinofilo con il quale vinse tutto ciò che si poteva. Il mondo della cinofilia in quegli anni era agli albori ed era caratterizzato dalla grande passione, dal lavoro, dagli sfottò tra allenatori e da una grande sportività e rispetto. Tanti amici-rivali con i quali, come in un circo, si passava da una gara all’altra nel tentativo di ripetersi se si aveva vinto, o di riscattarsi, ma sempre all’insegna di “vinca il migliore” in questo fantastico binomio cane-dretzer. Enrico Adanti, Luigi Bellone, Antonio Rossi, Tito Biancalana, Gino Botto, Carlo Ronchini, Remo Tempestini…sono solo i nomi di uomini che fecero la storia della cinofilia locale e nazionale in quegli anni che riconoscevano in Virginio una figura aggregante utile a migliorare la qualità delle giornate di gara nell’aspetto competitivo e soprattutto in quello scanzonato e di amicizia.
Il periodo dell’impegno cinofilo professionistico durò diversi anni fino a quando, risiedevamo ancora a Fossombrone,per qualche motivo “non precisato” qualcuno di notte avvelenò il canile che mio padre aveva nella campagna vicino a Fano. Morirono numerosi pointers che avevano richiesto anni di lavoro e sudore da parte di mio padre per allenarli tanto da essere pronti per le gare; Lui, deluso, trasse la conclusione che era giunto il momento di abbandonare questa attività..se si giungeva a tanto. Regalò i cani superstiti agli amici e lasciò l’attività di allenatore con la quale aveva vinto tantissime gare internazionali, in Italia e all’estero.
Nella sua filosofia di vita c’era che quando finisce lascia tempo e spazio per qualcosa d’altro che nasce; infatti solo da allora potè ritrovare il tempo e la voglia per dedicarsi alla pittura che aveva tralasciato da quando aveva terminato gli studi. Gli impegni di vita lo avevano distolto da tale interesse, ma quell’episodio così crudo e triste lo spinse a reagire con il bisogno di creare un mondo suo, migliore di quello che lo circondava; tornò a riprendere in mano il pennello e con la tecnica dell’acquerello fece i suoi primi quadri che avevano per soggetto alcuni scorci di Fossombrone e di Fano.
In quel periodo oltre alla lavanderia di Fossombrone i miei genitori ne avevano avviato una anche a Fano dove ci trasferimmo nel 1963, lasciando a Fossombrone un vuoto nel cuore dei tanti amici e conoscenti. Questo spostamento, giustificato dalla necessità di vivere in una città più grande per esigenze di lavoro e garantire a me e a mio fratello (nato a Fossombrone nel ’59) più agevoli studi superiori,chiuse per mio padre il periodo della cinofilia e aprì quello dell’impegno nel mondo della pittura.
Dopo i primi acquarelli iniziò a dipingere ad olio a spatola su tela e faesite e quindi a pennello. I temi dei suoi quadri erano vari raffigurando marine, fiori, nature morte,scene di caccia…alla ricerca di una propria, personale espressione. Dato che questi quadri piacevano ai clienti che capitavano in lavanderia dove mio padre li esponeva, iniziarono, per sfida, le prime mostre collettive, le prime extemporanee e i primi consensi di un pubblico che non lo conosceva e anche i primi premi dalle giurie.
Questo succedersi di approvazioni dapprima a livello locale e poi via via su tutto il territorio nazionale gli dava lo stimolo per migliorarsi e il caffè “Centrale” di “Cigalin” era il luogo dove lui e altri pittori fanesi (Storer, Pucci, Rossi, Marano, Pusineri..) si ritrovavano per l’ispirazione per la successiva opera che veniva stimolata dalla competitività, quasi come se ognuno di loro fosse il solo cultore scelto dalla musa della pittura. In quegli anni Fano visse di questo risveglio artistico e culturale che senza eccessi portò a continue e varie esposizioni di quadri di questi pittori locali ai quali vanno ancora aggiunti i nomi di Generali, Piccinetti, Radicioni, Patrizi…Era facile e bello vedere queste loro opere in mostra nelle vetrine dei negozi più diversi, purchè ..fossero esposte al pubblico.
Il 1973 fu un anno di svolta nella carriera pittorica di mio padre che nei suoi primi dieci anni aveva già raggiunto riconoscimenti notevoli. Fu chiamato a Bologna in occasione della Fiera Campionaria “Giò ‘70” insieme con altri tre pittori prescelti come lui da una giuria di critici bolognesi, per sperimentare l’impatto della pittura con quel pubblico che in gran parte non frequentava le gallerie d’arte. Mio padre volle fare in quell’occasione un “Omaggio all’Appennino” dipingendo solo “calanchi” e con i quali ottenne un enorme successo di critica e pubblico.
Da allora il calanco, per decenni da lui vissuto come cacciatore e allenatore di cani, divenne il tema dominante dei suoi quadri;sentì di aver trovato la sua forma espressiva e dipingere in studio questi “mari di terra” gli permetteva di esternare il suo mondo interiore. Lo visse come un cambiamento talmente profondo che ..cambiò anche il modo di firmare le sue tele.
Tali opere all’inizio erano cupe, sofferte; osservandole ci si sprofondava dentro questi mari di terra simili a bolge dantesche. Poi negli anni i calanchi diverranno più “ descritti”, visti con la partecipazione di chi può volarci sopra e spaziare fino all’infinito; d’altronde mio padre era stato un pioniere delle sensazioni che si possono provare..volando.
Da allora grandi soddisfazioni a livello nazionale ed internazionale con mostre personali, premi, riconoscimenti vari che non gli tolsero mai il gusto della novità,dell’esperimento, del bisogno di tentare qualcosa di nuovo nella vita; nel 1978 a Spoleto, in occasione del “ Festival dei due Mondi”, espose le sue opere in maniera provocatoria lungo una scalinata con un arabo legato ad una sedia e bottiglie di petrolio “nostrano”in vendita, proveniente dal nostro sottosuolo!!
Una caratteristica della sua personalità era la riservatezza e l’ovvietà di raggiungere qualunque risultato, se si era lavorato bene. Dei tanti premi ambitissimi ricevuti per meriti sia nel campo della cinofili,sia in quello della pittura, non ne fece mai menzione nella sua città di Fano o con gli amici; gli piaceva trascorrere ore al caffè “Centrale”tra una risata, un racconto, una partita al biliardo con la consumazione in palio..quindi passava in lavanderia da mia madre a vedere se occorreva qualcosa per poi tornare a casa e in studio si metteva a dipingere, in modo che quando poi anche noi rincasavamo, poteva sentire il nostro parere su ciò che nel frattempo aveva creato.
La notte poi era per lui il momento magico per dipingere. Quando finivano i programmi in televisione e i rumori calavano, allora iniziava a dipingere, tra il fumo delle sue tante sigarette; al mattino seguente si trovava l’opera creata lì sul cavalletto in mostra come a dire:“da oggi ci sono anch’io in questo mondo!!” Poi magari seguivano i periodi di sterilità pittorica in cui non dipingeva ma sognava di acquistare un camper per girare insieme con mia madre le piazze e i luoghi più belli d’Italia per esporre le sue opere a stretto contatto con il pubblico più vario. Per lui era molto importante che ciò che lui creava piacesse anche agli altri.
Nel 1982 era intento a lavorare a un quadro di notevoli dimensioni per la quadriennale di Roma quando casualmente, dopo notti insonni a causa del riacutizzarsi della sua bronchite cronica di fumatore, ci fu un riscontro casuale radiologico di un’ombra all’apice di un polmone. Da lì si sottopose a tutti gli accertamenti vivendo questa nuova esperienza con la forza e la dignità di chi è fiducioso che “ anche questa volta andrà bene”, come in tante altre occasioni. In quel periodo lasciò
La lavanderia ad una ragazza che lì lavorava da tanti anni ed essendo ormai noi due suoi figli grandi e “sistemati”, pensò di essere pronto ad acquistare quel famoso camper per girare l’Italia con mia madre e i quadri. Fu però necessario un intervento chirurgico per asportare ciò che si era rivelato essere una neoplasia maligna del polmone.
A Bologna il chirurgo toracico che lo operò si meravigliò della forza della muscolatura di questo uomo di sessant’anni. L’intervento chirurgico andò bene; il morale di mio padre era buono e tanta la sua voglia di vivere.
Tornato a casa si impegnò molto con la fisioterapia e la parte residua del polmone operato si espanse come prima dell’intervento. L’estate successiva già mio padre torno a pescare i cannelli in apnea, a giocare a biliardo a dipingere con una serenità profonda; aveva anche smesso di fumare!!, ma nel settembre del 1983 comparvero alcuni disturbi alla vista. La Tac cerebrale rivelò la presenza di metastasi a distanza di un anno dall’intervento; in tre mesi mio padre consumò il suo calvario e morì la mattina del 20 dicembre 1983.
Anche a morire fece in fretta, tanto che molti suoi amici non riuscirono a vederlo star male; per loro è scomparso a sessantuno anni quando ancora era sorridente e nel pieno delle sue forze.
“Se ne è andato così, senza neanche farcelo sapere…Tante volte partiva, vinceva una gara, tornava e noi di tutto quello che aveva fatto nel frattempo non sapevamo mai nulla; lo imparavamo casualmente dopo e non da lui..” (un amico)
“Sapevo che era stato ammalato, me lo aveva telefonato un giorno lui stesso, ma che si era rimesso abbastanza bene e non avrei mai immaginato che ciò sarebbe stato causa della sua prematura scomparsa. Non vi nascondo il dolore che ho provato e che provo tutt’ora.
Malgrado la lontananza eravamo rimasti cari amici; lo ricordavo sempre con piacere e sempre me lo ricorderanno i suoi quadri che adornano la mia casa, quadri che parlano di lui come se fosse ancora tra noi con la sua affabilità e cortesia di Uomo sempre gentile premuroso che non si potrà mai dimenticare.”
( da una lettera alla famiglia Ridolfi in data 2-1-1984 da parte di Borghini Loris, Arezzo).
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